Fedeli.





(Riflessione pre-pasquale sulle Acli) Roma, 27 marzo 2015

Look at all the lonely people! Where do they all belong? (Lennon – McCartney, 1966)

Non era più nella directory. Insomma non era dove avrebbe dovuto essere per farsi trovare. E se tu non sei visibile, se non hai un certo titolo, allora basta, fine, non ci sei più. Così è stato anche per lei. Persa tra mille altre tracce. Poi, mentre sistemo i file sul pc ascoltando un po' di Fab four e un po' di Carmen Consoli, eccola lì. Che appare. Enigmatica: la quarta ipotesi. È il titolo della sintesi di questo pregevole testo di Maurice Bellet. Il buon vecchio filosofo cristiano (che, tra l'altro, è anche un po' economista, teologo e psicanalista: ma in fondo per reggere la complessità non bisogna forse avere un occhio largo?) prova ad immaginare il futuro della Chiesa cattolica. E lo fa disegnando quattro scenari. Tutti possibili. Anche se forse in modo non così esclusivo, ma mischiato. Però la sua teoria è netta: quattro ipotesi, quattro possibilità, inconciliabili come i quattro cantoni o i quattro canti di Palermo. La rileggo in fretta, mi fermo sui titoli delle quattro fasi. Il testo ha qualche anno, ma lo schema sembra resistere alla vetustà. È ancora fonte della stessa inquietudine che mi aveva lentamente invaso al tempo in cui me l'aveva fatto leggere Eliana. Digito print e dico che me lo leggo dopo con più calma. Appoggio la stampa sulle slide di Emiliano e nella mia mente si stabilisce quel piccolo link che mi porta a scrivere quanto state leggendo, che mando al blog di Paola perché qualcuno mi dica che ne pensa. Insomma, ora provo a declinare (in modo un po' fantasioso... non fatelo leggere a Bellet) le quattro fasi che Bellet utilizzava per prevedere la strada della Chiesa, per immaginare quella delle “nostre Acli” (come diceva Paolo VI, quando i rapporti con noi erano ancora positivi). Proviamo.

Roberto Rossini 

Prima ipotesi, la scomparsa silenziosa. È l'ipotesi più tragica: in modo indolore, piano piano, senza una vera e propria crisi tutto arretra e si priva di un senso reale. Non c'è più alcun impatto sociale significativo (cioè di significato). Nessuna guerra persa: semplicemente si spegne. Rimangono delle tracce. Dei libri. Delle targhe. Dei racconti. Qualche circolo ancora forte e numeroso. Qualche dirigente storico. Un piccolo gruppo di aclisti convinti e forti che rivendica una fede, un dono, un compito all'interno di un quadro di indifferenza generale, dove nessuno crede più ad un impegno sociale. Nessuno crede più al riscatto di un ceto, di una classe sociale. Tutto annega nelle sabbie mobili di una società apparentemente piatta. Se non chiudono per qualche disavventura, allora rimangono alcuni servizi e alcune imprese. Ma ben altri soggetti fanno quello che noi sapevamo fare (bene).

Seconda ipotesi, la dissoluzione amichevole. Direte voi: ma non è anche questa un po' tragica? Beh sì, anche questa: il messaggio aclista si è ora trasformato in buon senso comune, volto a migliorare le condizioni di vita delle persone. Il nuovo verbo è la qualità della vita. Ecco allora il ruolo preponderante dei servizi e delle imprese sociali, che non fanno più riferimento al Vangelo o alla Dottrina sociale o ad un sentimento di giustizia e verità, quanto al Manuale della Qualità, o la Carta dei servizi, o le convenzioni. Tutto si trasforma in servizio finalizzato a far bene il proprio lavoro senza particolari principi di ordine sociale e politico (a parte quelli necessari alla salvaguardia del bene aziendale: onestà e correttezza). Il Movimento non serve più, perché non serve una presidenza ma un consiglio di amministrazione (poi lo si chiamerà come si vuole, in omaggio ad una storia).

Terza ipotesi, l'arroccamento identitario. Ci sono due versioni. Arroccamento lato a sinistra: qui il Movimento occupa invece uno spazio significativo e rivendicativo nei confronti della società esterna; si pone in netto contrasto con il mainstream dominante per collocarsi sempre all'”opposizione” e motivare chi vive il mondo come costante assedio del capitale, della burocrazia, dei poteri forti; ci si sente profetici e (altrettanto) forti; si ha il coraggio di dire cose scomode ma come affermazione di sé stessi, più che come attori di un processo sociale partecipato. Arroccamento lato a destra: qui il Movimento ripete le cose dell'attore istituzionale di turno, del governo, della Chiesa ufficiale, senza alcuna mediazione ma con lo scopo di conservare il posizionamento acquisito, anche quello acquisito per inerzia; si perpetuano linguaggi, riti e modi di agire del tutto autoreferenziali al posizionamento interno, privi di collegamento con la fluida realtà circostante.

Quarta ipotesi – eccola – è invece la riscoperta dell'inaudito, del nascosto. Il patrimonio di idee, di storie, di principi e valori sono vissuti e utilizzati per far compagnia agli uomini in cerca di dignità e di senso. Si riscopre “il fatto”, ovvero la realtà e la necessità di chinarsi a curare sia le ferite materiali sia le ferite morali. Si passa da una logica sistemica, che legge l'esterno in virtù del dato interno, ad una logica a rete, che costruisce coerenze interne sulla base delle esigenze esterne. È il rapporto costante con la realtà che anima le riflessioni: non si dice quel che si pensa, ma si riflette quel che si fa. La condizione umana e sociale torna ad essere al centro dell'attività aclista. Si scopre una realtà inaudita, non facilmente visibile, quasi nascosta.

Queste – rielaborate un po' a modo mio – sono dunque alcune possibilità. Raffigurandole in quattro cose, potremmo allora dire che la prima è una setta, la seconda un'impresa, la terza la cgil di sinistra o di destra, la quarta... semplicemente le Acli. Cosa ci manca per essere più fiduciosi e convinti “esperti di socialità” (parafrasando la Sollicitudo Rei Socialis, dove la Chiesa si autodefinisce “esperta di umanità”)? Occorre che si manifesti più pienamente il popolo, l'elemento di contatto con la condizione umana.

Recentemente Cassano (non il calciatore, ma il filosofo: Franco, quello che “gioca” sulla fascia sinistra) ha scritto che anche alla Sinistra politica manca il popolo (che più facilmente vota a destra). In che senso? Nel senso che il popolo ha bisogno di essere compreso nei suoi problemi e nei suoi sentimenti, nelle sue scadenze e sue paure. Costruire un nuovo blocco sociale non significa limitarsi a rivendicare dei diritti individuali: il pensiero si colloca anzitutto in termini collettivi: a livello di comunità, di territorio, di elemento di unità delle persone. La Thatcher ha distrutto una certa coesione sociale affermando che se si tolgono gli individui, non rimane alcunché. Noi, invece, non possiamo non dire che anche togliendo gli individui rimarrebbe la società, un groviglio di rapporti umani che va protetto. La persona. Esistono circoli aclisti in zone pericolose, di frontiera, e circoli in zone ricche e opulente e ben organizzate: il circolo Acli può essere il presidio di garanzia e di animazione delle relazioni sociali, industriali, culturali, politiche? Il ruolo del circolo è decisivo nello sviluppo delle nostre Acli (la prossima volta, dunque, parleremo di periferie). La progettazione sociale, l'innovazione sociale, la capacità (semplicemente) di essere “prossimi a” è la nostra più radicata fedeltà. Ogni fedeltà è relazionale: per questo essere popolo significa essere fedeli.

Di fatto il popolo non è affatto solo. È accompagnato da alcuni figuri: del tutto interessati, ai suoi soldi, alle sue fragilità. Riusciremo ad essere quella parte del popolo che garantisce la fedeltà a se stessi: alla propria appartenenza, alla propria umanità? Sentire un'appartenenza è anche avere fede.

I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini

I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nucle...